“L’invenzione del vento” di Lorenzo Pavolini: un romanzo sull’amicizia e sui sogni
“Lo specchio del mare è il campo da gioco del windsurf. Un terreno di solitudine e di esibizione, dove ognuno è immerso nel proprio sogno.”
E’ questa “L’invenzione del vento”, da poco edito da Marsilio, dell’autore Lorenzo Pavolini, professione scrittore, redattore e windsurfer che ritorna al romanzo con una storia di formazione, un memoir che gli appartiene generazionalmente e nel quale s’inserisce, come filo conduttore, la sua personale passione per il windsurf.
Il libro narra semplicemente la storia di Giovanni e di Pietro che si incontrano al Liceo Farnese di Roma nel 1978 e li troviamo sin dalle prime pagine del libro senza sapere come sia nata la loro amicizia: un freddissimo pomeriggio di febbraio, al lago di Bracciano, a cavalcioni su due tavole da surf. Perché Giovanni e Pietro sono appassionati pionieri del windsurf, passano i pomeriggi chiusi nel laboratorio-garage prestato dal papà di Pietro tra barattoli di resine, vapori epossidici, lana di vetro, pennelli e carte vetrate intenti a realizzare il loro sogno: una tavola a vela, con la quale scivolare sulle “ragazze blu” e – metaforicamente – sulla vita.
A fianco a loro scorre, come acqua tagliata dalla tavola, la sanguinosa Storia dell’Italia – dal rapimento di Moro all’assassinio di Giorgiana Masi, dalla diffusione dell’eroina allo scioglimento del Pci – e che l’autore riporta con note disgiunte dal testo e rappresentate da una grafica originale e appena accennata, una linea ondulata simbolo dell’onda dalla quale Giovanni e Pietro non vogliono essere sommersi ma sulla quale aspirano a scivolare sulle tavole che si costruiscono da sé. Eppure, cosi come le goccioline dei prodotti chimici che Giovanni e Pietro utilizzano per trattare le tavole, anche questi eventi, che appaiono distanti, sembrano schizzare fuori dai pennelli e penetrare nel profondo dell’animo, a meno di evitarli scappando con il vento. “Pietro e Giovanni avevano davanti l’estate più lunga della loro vita, quella di fine liceo. Le prime tavole dovevano assolutamente essere pronte entro luglio.”
Ma la Storia è sopraffazione e nessuno se ne può sottrarre: “L’essere cresciuti in appartamenti dove tra librerie e televisori le proporzioni erano speculari e inverse, anche quando le madri frequentavano cittadine termali a spese della medesima cassa mutua, produce una crepa alla base, forma uno sbalzo: lo senti passando la mano, è un gradino di sospetti. Tu mi tradirai. O meglio, tu non andrai fino in fondo. La fuga sarà interrotta, per te, in un dato momento, e ognuno proseguirà per la sua strada.” Il sogno e la passione per il windsurf porteranno i due amici a scelte di vita differenti, a rinunce e a separazioni: Giovanni, accantonata la passione per le tavole a vela, rientrerà nel suo percorso di giovane borghese, dedicandosi all’editoria, mentre Pietro inseguirà le onde dell’oceano, iniziando una vita molto ambigua che gli impedirà di rientrare in Italia. Ognuno dei due penserà all’altro come all’amico che è riuscito a realizzarsi, con nostalgia e rimpianto.
“Non è per questo che abbiamo imparato a stare in piedi sul mare, con una vela tra le mani? Un sistema come un altro, il windsurf. Nasceva lui, nascevamo noi. E adesso potremmo ritrovarci, in suo nome, semplicemente uscendo in acqua insieme.”
Leggere “L’invenzione del vento” significa confrontarsi con una scrittura vivida, una prosa morbida e fluida nella quale cose, colori e situazioni restano impigliate nella rete del linguaggio con un’apparente docilità e naturalezza. La trama è ricca di immagini e metafore tratte dal dominio semantico del mare e che guidano il lettore dentro un’architettura narrativa solida e nitida. Una dopo l’altra, le pagine si fanno ermetiche, anche le note storiche in calce diventano più rare fino a scomparire del tutto, come se il mondo si chiamasse fuori dalla vicenda che caratterizza l’amicizia dei due ragazzi, evidenziato anche da una flessione nello stile nelle ultime pagine del libro, come un cambio di rotta improvviso, un giro repentino di vento. Lorenzo Pavolini trasmette con chiarezza il senso di nostalgia per ciò che non è stato realizzato e per ciò che non c’è più, attraverso uno sguardo malinconico sugli eventi del passato, recuperando domande e tornando sui propri passi: “Dovrei lasciarti entrare? Dovrei credere quindi nella nostra stessa buona fede al punto da farti frugare ancora qua dentro? In quella baracca, tra i rimasugli di cose cui devo badare, ed eventualmente concedere in prestito, c’è anche qualcosa che somiglia all’oscurità del mio cuore. Preferirei continuare a restare sulla soglia, non mi serve voltarmi a guardare per sapere dove ho messo le cose. Stiamo qui.”
Diletta Punginelli